Azione fotografica per ripensare il paesaggio

PLAYGROUND: CAVE è un’azione di riconfigurazione iconografica delle cave di Trani.
Le cave di pietra di Trani, da tempo gravate da uno stigma sociale dovuto alla perdita di produttività economica, versano spesso in uno stato di abbandono che gli abitanti hanno metabolizzato e che considerano ormai irreversibile. Nell’immaginario cittadino, le cave sono dunque relegate al ruolo di margine urbano, di residuo, fino ad essere spesso utilizzate come discariche spontanee.
L’azione sul territorio di Studio Figure consiste nella produzione di fotografie che, esposte in grande formato in Piazza della Repubblica, propongono alla comunità tranese una chiave per ripensare quegli spazi feriti in chiave fantastica: non più solo luoghi di abbandono e degrado, ma paesaggi che invitano alla meditazione e all’immaginazione in cui scorci inaspettati, ritrovamenti e misteriosi manufatti confondono i riferimenti spaziali e trascendono la realtà documentata. 


Le 8 immagini esposte sono state selezionate fra circa 25 scatti realizzati in un periodo di residenza di 5 giorni preceduti da un sopralluogo di 3 giorni.


 

Il concetto di playground, in relazione all’attraversamento del territorio urbano o peri-urbano e all’intervento di land-art (e di conseguente riconfigurazione iconografica) non è una nostra invenzione e si rifà ad una tradizione artistica ben precisa che parte dalle avanguardie artistiche del primo 900, con le deambulazioni surrealiste e le visite dada, e passa per gli artisti minimalisti americani e per la land art fino ad alcune esperienze più recenti realizzate proprio con il mezzo fotografico.
E si possono individuare alcune caratteristiche comuni nelle pratiche dei diversi artisti che hanno indagato questi temi:
  • L’attraversamento o il cammino come azione di riappropriazione di un territorio, spesso caratterizzato da una marginalità o addirittura da uno stigma o una vergogna sociale.
  • L’utilizzo dell’opera d’arte come strumento di modifica non solo (o non tanto) fisica del paesaggio, ma soprattutto come strumento o dispositivo di trasformazione dell’immaginario dello stesso al fine di stimolare l’osservatore a una modifica dell’atteggiamento politico nei confronti di quel dato territorio

 

Dal punto di vista temporale si identifica l’inizio di queste tendenze con la “Fontaine” di Marcel Duchamp del 1917.
“Fontaine”, Marcel Duchamp (readymade 1917)
La Fontaine, al di là della critica del sistema dell’arte e della sua mercificazione, è innanzitutto una dichiarazione del potere dell’opera d’arte di rendere più elevato e più “importante” anche l’oggetto più banale e più marginale, persino l’oggetto da nascondere o di cui vergognarsi.
In questo caso la variazione di immaginario si ha per un doppio spostamento: l’oggetto è coricato sul suo dorso invece che essere in verticale e, soprattutto, uno spostamento semantico dato dalla volontà dell’artista di cambiargli contesto, inserendolo in una galleria o in una mostra o in un museo (ma è un cambio di contesto anche il fatto di diventare oggetto di una pratica artistica indipendentemente dal luogo fisico).

 

Dal punto di vista fotografico, questi anni coincidono con quelli della Straight Photography, quando una serie di autori come reazione alle pratiche pittorialiste in voga fino ad allora, cominciarono ad affermare con le loro immagini che la fotografia per essere considerata arte non aveva bisogno di assomigliare ad un dipinto o trattare di temi elevati. La fotografia tramite la potenza estetizzante dell’inquadratura, poteva rendere arte (proprio come in Duchamp) anche gli oggetti banali della vita di tutti i giorni.
Edward Weston, che di sicuro era a conoscenza del lavoro di Duchamp produce nel 1925 “Excusado”. Gli altri artisti della Straight Photography si discostano progressivamente dal pittorialismo per inquadrare direttamente e senza fronzoli le cose del mondo.
Edward Weston Excusado 1925
Paul Strand Staccionata Bianca 1916
Strand Paul, Rocks, Port Lorne, Nova Scotia, 1919
Paul Strand Wall Street 1917
paul-outerbridge-jr.-the-piano,-1926
edward-steichen-backbone-and-ribs-of-a-sunflower 1920
Ralph Steiner american rural baroque 1930
walker evans Maine Pump 1933
edward Weston Nude 1925
Edward Weston Clouds in Mexico 1926
edward-weston-palma-cuernavaca-1925
Edward Weston, Pepper 1930
Cabbage-Leaf-Edward-Weston-1931

L’attenzione al banale, all’ordinario e al marginale si sposta velocemente al territorio della città: I dadaisti a Parigi nel 1921, compiono la prima di una serie di visite nelle zone urbane marginali come forma di critica alla mercificazione capitalistica dei centri urbani. Se passeggiare nella Parigi degli Champs Elysees è ormai esclusivamente una esperienza consumistica e una partecipazione al sistema di produzione capitalistico, passeggiare nei margini della città diventa un modo per riaffermare il diritto allo spazio pubblico e il diritto ad un utilizzo “inutile” e non produttivo dello stesso.
Dada opera così una “trasformazione” estetica dello spazio urbano in qualcosa da rielaborare ospitando letture, azioni improvvisate, coinvolgimento dei passanti, distribuzione di doni e di racconti.
L’unica produzione di quella azione è il volantino di invito e una fotografia di gruppo dei partecipanti:
Gabrielle Buffet, Louis Aragon, Arp, André Breton, Paul Eluard, Th. Fraenkel, J. Hussar, Benjamin Péret, Francis Picabia, Georges Ribemont-Dessaignes, Jacques Rigaut, Philippe Soupault, Tristan Tzara

 


 

Passando per le deambulazioni surrealiste (in cui comunque confluiscono Aragon e Breton fra gli altri), la pratica dell’attraversamento dello spazio banale si continua a sviluppare come forma di riappropriazione dello spazio e di critica della cessione dello spazio pubblico al sistema produttivo capitalistico.
Nel 1952 un gruppo di giovani scrittori – Guy Debord, Gil, Wolman, Michèle Bernstein, Mohamed Dahou, Jacques Fillon e Gilles Ivain – diede vita all’Internazionale Lettrista per lavorare alla costruzione cosciente e collettiva di una nuova civiltà. Nei primi anni Cinquanta, quest’ultima – che confluì nel 1957 nell’Internazionale Situazionista – riconobbe nel perdersi in città la concreta possibilità espressiva dell’anti-arte e la assunse come mezzo estetico-politico per sovvertire il sistema capitalista del dopoguerra. Dopo la visita dadaista e la deambulazione surrealista, venne coniato il termine dérive: un’attività ludica collettiva che mirava alla costruzione e alla sperimentazione di nuovi comportamenti nell’esistenza reale; un modo alternativo di abitare la città, uno stile di vita che andava fuori e contro le regole della società borghese e che voleva con ogni mezzo superare le correnti precedenti. Per la deriva lettrista lo spazio urbano era un terreno passionale oggettivo e non solo soggettivo-inconscio. Non si trattava più di una fuga dal reale, bensì di un concreto controllo dei mezzi e delle azioni che si possono sperimentare direttamente nella città.
Asger Jorn & Guy Debord 1959

Un concetto di città nuova, abitata e costantemente “errata” da un uomo che la usa unicamente come playground e come spazio di flanerie e di deriva, viene sognato e progettato dai situazionisti.
L’atteggiamento ludico è considerato l’unico in grado di mettere sotto scacco le logiche di produzione e di marginalizzazione.
Il gioco diviene oggetto privilegiato della speculazione architettonica anche della progettazione concreta: L’architetto Aldo Van Eyck individua nel playground un nuovo modo di appropriazione dello spazio urbano e progetta le prime aree giochi ad Amsterdam (1947-1978).

Constant, grazie anche all’aiuto di Van Eyck, propone la New Babylon, una città futura anticapitalista, nella quale l’homo faber è sostituito dal nuovo homo ludens (Johan Huizinga, 1938). Nella New Babylon il valore simbolico del gioco si carica di significato nella polemica contro il moderno; alla città funzionalista, meccanizzata si contrapporre una città che recupera il suo rapporto con la strada e con gli spazi pubblici informali.


 

Alla chiusura dell’esperienza situazionista nel 1978 una nuova generazione di artisti americani analizza le potenzialità della pratica artistica e dell’opera d’arte come strumento di rimodifica e riconfigurazione del paesaggio: NASCE LA LAND-ART.
A Line Made by Walking 1967 Richard Long
Nel 1967 Roberth Smithson compie un attraversamento fra New York e il paese di Passaic nel New Jersey, dove era cresciuto, e produce un breve saggio testuale e visivo in cui descrive le varie reliquie industriali  e suburbane che incontra durante il viaggio, riconfigurandole in ipotetici monumenti di una civiltà a venire. Pur non essendo fra le sue opere più conosciute, “A tour of the monuments of Passaic, New Jersey” ci da un esempio chiarissimo della funzione di riconfigurazione di un immaginario di un dato paesaggio che può avere la pratica artistica.

L’effetto di monumentalizzazione che il mezzo fotografico ha sul suo soggetto è anche chiara nell’imponente lavoro di Berndt e Hilla Becher “Anonyme Skulpture: Eine Typologie technischer Bauten” edita nel 1970.
Pur essendo un lavoro eminentemente fotografico il termine Skulpture  è significativo e in effetti nel 1990 i Becher vinsero il Leone D’Oro alla Biennale di Venezia proprio nella categoria Scultura. La catalogazione rende visibilissimo lo spostamento di senso  che il mezzo fotografico opera su queste emergenze industriali trasformandole appunto in sculture con un meccanismo simile a quello del primo ready-made di Duchamp. Solo che qui lo spostamento semantico non è operato fisicamente (ad esempio spostando uno di questi silos in un museo) ma a livello di immaginario attraverso l’inquadratura (che in effetti rende “portatili” questi soggetti).
Inoltre l’atteggiamento degli autori di fronte a questi “monumenti” È cambiato in senso post-modernista. Non sono più simboli della grande narrativa del progresso umano davanti a cui inchinarsi,  ma reperti – come in un teca di un museo – di un passato glorioso e fallito. Mettendole nella teca fotografica le musealizzano, come è successo alle vestigia di altri imperi.

Nello stesso periodo Alain Touraine (La societé post-industrielle, 1969) e Daniel Bell (The Coming of Post-Industrial Society, 1973) utilizzano per la prima volta il termine “post-industriale” che in economia è utilizzato per indicare una società in cui la il lavoro per la produzione di servizi ha superato come quantità di lavoratori e di indotto economico quello della manifattura di beni; ma a livello sociale, urbanistico e culturale significa che gli stessi edifici industriali cominciano a perdere la loro funzione e diventano archeologia (industriale) o sono convertiti in istituzioni culturali in corrispondenza con la nascita dell’ “industria culturale”.

 

Su questo solco, poco più tardi, si inserisce la serie Altered Landscape di John Pfahl (1974-78):