Find The River
Una breve storia del rapporto tra fiume e esplorazione attraverso la lente e le intenzioni dei fotografi
Il legame tra fotografia ed esplorazione risale alla nascita stessa del medium e coincide con la diffusione di un particolare spirito otto-novecentesco che poneva il progresso tecnologico al centro della civiltà umana.
L’invenzione della fotografia non è infatti il risultato di un’inventiva individuale e improvvisa, ma il prodotto di studi e iniziative (anche eminentemente imprenditoriali) di diversi attori che condividevano la necessità di meccanizzare la produzione delle immagini accanto a quella dei beni e degli artefatti.
Tutti, piuttosto che fotografi o artisti erano inventori, imprenditori, uomini “moderni”, guidati da questo spirito e da questa ‘idea di progresso.
Joseph-Nicéphore Niepce, uno dei pionieri del processo fotografico (che sperimentò per la prima volta nel 1827), aveva anche inventato con suo fratello Claude un motore a vapore che avevano usato per muovere una barca fluviale. Era interessato alla possibilità di fissare l’immagine “fotograficamente” perché voleva applicare l’invenzione al processo di incisione, molto popolare in Francia nel settore editoriale e artigianale.
Louis Daguerre, considerato l’inventore ufficiale della fotografia per la statalizzazione e pubblicazione del suo invenzione da parte del governo francese nel 1837, era sì un pittore ma era sicuramente più famoso per il suo “diorama”, una macchina teatrale che permetteva di cambiare scenari teatrali attraverso l’uso combinato di tende semitrasparenti e della luce di finestre e candele.
William Henry Fox Talbot inventore britannico de “disegno fotogenico”, come lui stesso aveva chiamato questo processo pre-fotografico. Talbot ha previsto la registrazione accurata dei campioni come importante applicazione della sua invenzione. L'”Album di disegni fotogenici”, in cui appare questa stampa, contiene trentasei immagini inviate da Talbot al botanico italiano Antonio Bertoloni nel 1839-40
Thomas Wedgewood stava già sperimentando la stampa solare intorno al 1800 per cercare di serializzare la stampa di immagini decorative sui prodotti dell’azienda familiare, la famosa Wedgwood Pottery.
I primi utilizzi della fotografia erano alimentati da un atteggiamento squisitamente imprenditoriale, e strettamente legati al concetto di progresso, appunto nella sua accezione più 8-9centesca di “scoperta” e “esplorazione dell’inesplorato”.
Nel 1840 (appena tre anni dopo la pubblicazione delle scoperte di Daguerre) l’editore N.M.P. Lerebours ha pubblicato le Excursions Daguerriennes, una raccolta di vedute di paesaggi e monumenti europei, dal Medio Oriente e dall’America che hanno avuto un enorme successo perché hanno permesso a coloro che non potevano permettersi di viaggiare di essere partecipi dello spirito di progresso-esplorazione-scoperta che pervadeva la società (se non altro quella europea ed occidentale).
Le Excursiones Dagueriennes erano certamente infuse dello stesso spirito di cui si alimentavano i grand tour degli intellettuali europei, così come lo era sicuramente una delle prime esplorazioni lungo un fiume che si avvaleva del mezzo fotografico.
La missione di Maxime Du Camp in Egitto e nel Vicino Oriente nel 1849-51 per fare un’indagine fotografica dei monumenti e dei siti è ben documentata nei suoi scritti e in quelli del suo compagno di viaggio, Gustave Flaubert. Dopo un primo soggiorno al Cairo, i due amici hanno noleggiato una barca per risalire il Nilo fino alla seconda cataratta, dopodiché sono scesi a piedi lungo il fiume, esplorando i siti archeologici lungo le sue rive. Nel luglio 1850 lasciarono l’Egitto per la Palestina, la Turchia e la Grecia prima di separarsi in Italia nell’aprile seguente.
Scrive Du Camp:
“Mi ero reso conto nei miei viaggi recedenti che perdevo molto tempo prezioso tentando di disegnare edifici e panorami che non volevo dimenticare.[…] Sentivo che avevo bisogno di uno strumento di precisione per registrare le mie impressioni se poi volevo riprodurle accuratamente.”
e anche:
“Each time I visited a monument I had my photographic apparatus carried along and took with me one of my sailors, Hadji-Ishmael, a very handsome Nubian, whom I had climb up on to the ruins which I wanted to photograph and in this way I was always able to include a uniform scale of proportions.”
Negli stessi anni dall’altra parte dell’atlantico la fotografia veniva ampiamente usata per raccontare e in un certo senso fondare l’altra grande nazione simbolo del progresso 8-9centesco: gli Stati Uniti d’America.
https://1848.cincinnatilibrary.org
Alla “meraviglia della visione” delle prime immagini fotografiche si cominciavano ad aggiungere altri livelli che dovevano permettere una sempre maggiore conoscenza e capacità di documentazione della realtà.
La pratica di unire le immagini (oggi chiamata stitching) è utilizzata oggi in moltissime applicazioni (Google Street View e fotografie panoramiche per esempio) ed è stata utilizzata da diversi artisti nel corso della storia del mezzo.
Lo sviluppo e la diffusione della fotografia coincidono in America, dicevamo, con la stessa costruzione della Nazione.
Dal 1860 al 1865 la guerra civile è subita documentata da un gruppo di fotografi ingaggiati dallo stesso governo unionista per volontà dello stesso presidente neo-eletto Abraham Lincoln, che aveva subito intuito la potenza del mezzo nella costruzione del potere e nella espansione dell’impero.
https://www.loc.gov/photos/collections/
E una volta finita la guerra questa nuova grande nazione libera andava documentata e raccontata: gli stessi fotografi vengono inviati nell’entroterra americano a fotografare due attività simbolo dello sviluppo 8-9centesco: la costruzione della ferrovia e l’esplorazione del west.
La locomotiva a vapore è del resto un altro grande simbolo del progresso del XIX secolo. Insieme alla fotografia ne ha incarnato il mito: lavorare alla costruzione della ferrovia e posare per il fotografo erano due modi di essere parte di quel momento straordinario nella storia.
La costruzione della ferrovia aveva ovviamente una funzione anche politica ed economica, serviva a portare merci e genti nelle nuove terre da occupare e fotografarla significava da un lato creare la narrazione dell’espansione del nuovo impero e dall’altro ad avere una prova effettiva per rendicontare gli investimenti fatti per i treni, le strade ferrate e i ponti.
Andrew J. Russell, “East shaking hands with West”, Meeting of the Rails, Promontory Point Utah, 1869
Enlarge: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/aa/East_west_shaking_hands_by_russell.jpg
Queste pose di fronte alla camera ci dicono moltissimo dell’importanza che veniva dato al momento fotografico in quanto dimostrazione di modernità: tutto (il paesaggio, il ponte, il treno, le persone) si doveva prestare al momento fotografico. Essere in una foto di una nuova terra, con una nuova opera mastodontica in corso parlava ancora di scoperta, sviluppo umano e esplorazione eroica. Ti faceva sentire un uomo del tuo tempo.
E in queste pose, come nel legame fra fotografia e esplorazione si riscontra ancora il retaggio originario del mezzo: molte pose e photo opportunities sono tuttora usate e sono spesso oggetto di trend sui social
Lo stesso gruppo di fotografi era impegnato in campagne esplorative finanziate dai vincitori della guerra civile americana per documentare la bellezza e le possibilità del neonato stato. Quelle fotografie, stampate a New York e in altre città economiche americane in rapida crescita, mostravano agli imprenditori e agli investitori il terreno e le risorse in cui potevano investire per continuare l’impresa.
Il fiume è molto presente nelle immagini di queste esplorazioni, anche qui, non solo come strumento visivo per esaltare la bellezza formale delle viste ma anche per illustrare le possibilità delle nuove terre. L’acqua rappresentava la possibilità di fondare nuove città, di utilizzi agricoli e industriali, di trasporto di merci e persone, di costruzione di attracchi e porti.
Ancora una nota sulla resilienza di alcuni retaggi fotografici: “man sits quietly on the rocks contemplating” è un atteggiamento ancora automatico quando l’uomo urbano si confronta con la wilderness (anche se la wilderness non esiste più). Ed è una delle imagini più ricorrenti sui social media.
La dimensione di questo fenomeno è tale che si cominciano a trovare reazioni anche a livello istituzionale. In seguito alle lamentele pubblicate sui social media da alcuni turisti che visitano il Roys Peak sul lago Wanaka in Nuova Zelanda, che hanno riferito lunghe code di altri turisti in attesa di scattare una foto molto popolare sullo stesso social media, l’agenzia nazionale per il turismo Tourism NZ, ha pubblicato una campagna di informazione turistica che critica apertamente il comportamento dei turisti che viaggiano seguendo le tendenze dei social media (“travelling under the social influence” nel messaggio originale). In una serie di brevi video, un noto comico neozelandese impersona un agente di una fantomatica S.O.S. – Social Observation Squad che insegue e “arresta” turisti intenzionati a ripetere pose sulle riviste dei social media, invitandoli a lasciare i percorsi consigliati online e a fare, e “condividere online, qualcosa di nuovo”.
Queste pose “photo opportunity” sono in questo senso tristemente “moderne” in quanto contengono già la negazione della stessa grande narrazione che rappresentano.
Non che la relazione fra mezzo fotografico ed esplorazione sia scomparsa. Sulla terra è sostituita dal turismo di massa ma, non appena l’uomo fa un altro passo nella scoperta di qualcosa di nuovo (ancora grazie alla tecnologia), la macchina fotografica è la prima cosa che viene portata nell’ignoto, per restituirci delle immagini.
https://www.nasa.gov/mission_pages/msl/images/index.html
Tornando in Europa e indietro nel tempo, lo spirito modernista e il relativo approccio fotografico all’esplorazione sarebbe durato fino a scavalcare il secolo e arrivare alle avanguardie artistiche.
“Fontaine”, Marcel Duchamp (readymade 1917)
La Fontaine, al di là della critica del sistema dell’arte e della sua mercificazione, è innanzitutto una dichiarazione del potere dell’opera d’arte di rendere più elevato e più “importante” anche l’oggetto più banale e più marginale, persino l’oggetto da nascondere o di cui vergognarsi.
In questo caso la variazione di immaginario si ha per un doppio spostamento: l’oggetto è coricato sul suo dorso invece che essere in verticale e, soprattutto, uno spostamento semantico dato dalla volontà dell’artista di cambiargli contesto, inserendolo in una galleria o in una mostra o in un museo (ma è un cambio di contesto anche il fatto di diventare oggetto di una pratica artistica indipendentemente dal luogo fisico).
Dal punto di vista fotografico, questi anni coincidono con quelli della Straight Photography, quando una serie di autori come reazione alle pratiche pittorialiste in voga fino ad allora, cominciarono ad affermare con le loro immagini che la fotografia per essere considerata arte non aveva bisogno di assomigliare ad un dipinto o trattare di temi elevati. La fotografia tramite la potenza estetizzante dell’inquadratura, poteva rendere arte (proprio come in Duchamp) anche gli oggetti banali della vita di tutti i giorni.
Edward Weston, che di sicuro era a conoscenza del lavoro di Duchamp produce nel 1925 “Excusado”. Gli altri artisti della Straight Photography si discostano progressivamente dal pittorialismo per inquadrare direttamente e senza fronzoli le cose del mondo.
L’attenzione al banale, all’ordinario e al marginale si sposta velocemente al territorio della città: I dadaisti a Parigi nel 1921, compiono la prima di una serie di visite nelle zone urbane marginali come forma di critica alla mercificazione capitalistica dei centri urbani. Se passeggiare nella Parigi degli Champs Elysees è ormai esclusivamente un’esperienza consumistica e una partecipazione al sistema di produzione capitalistico, passeggiare nei margini della città diventa un modo per riaffermare il diritto allo spazio pubblico e il diritto ad un utilizzo “inutile” e non produttivo dello stesso.
Dada opera così una “trasformazione” estetica dello spazio urbano in qualcosa da rielaborare ospitando letture, azioni improvvisate, coinvolgimento dei passanti, distribuzione di doni e di racconti.
L’unica produzione di quella azione è il volantino di invito e una fotografia di gruppo dei partecipanti:
Passando per le deambulazioni surrealiste (in cui comunque confluiscono Aragon e Breton fra gli altri), la pratica dell’attraversamento dello spazio banale si continua a sviluppare come forma di riappropriazione dello spazio e di critica della cessione dello spazio pubblico al sistema produttivo capitalistico.
Nel 1952 un gruppo di giovani scrittori – Guy Debord, Gil, Wolman, Michèle Bernstein, Mohamed Dahou, Jacques Fillon e Gilles Ivain – diede vita all’Internazionale Lettrista per lavorare alla costruzione cosciente e collettiva di una nuova civiltà. Nei primi anni Cinquanta, quest’ultima – che confluì nel 1957 nell’Internazionale Situazionista – riconobbe nel perdersi in città la concreta possibilità espressiva dell’anti-arte e la assunse come mezzo estetico-politico per sovvertire il sistema capitalista del dopoguerra. Dopo la visita dadaista e la deambulazione surrealista, venne coniato il termine dérive: un’attività ludica collettiva che mirava alla costruzione e alla sperimentazione di nuovi comportamenti nell’esistenza reale; un modo alternativo di abitare la città, uno stile di vita che andava fuori e contro le regole della società borghese e che voleva con ogni mezzo superare le correnti precedenti. Per la deriva lettrista lo spazio urbano era un terreno passionale oggettivo e non solo soggettivo-inconscio. Non si trattava più di una fuga dal reale, bensì di un concreto controllo dei mezzi e delle azioni che si possono sperimentare direttamente nella città.
Un concetto di città nuova, abitata e costantemente “errata” da un uomo che la usa unicamente come playground e come spazio di flanerie e di deriva, viene sognato e progettato dai situazionisti.
L’atteggiamento ludico è considerato l’unico in grado di mettere sotto scacco le logiche di produzione e di marginalizzazione.
L’era del moderno è finita e siamo in pieno post-moderno: il termine “postmodernità” fu usato in effetti per la prima volta come teoria generale per un movimento storico nel 1939 da Arnold J. Toynbee: “La nostra era post-moderna è stata inaugurata dalla guerra mondiale del 1914-1918”.
Inizia qui l’era, ancora viva, dello scetticismo verso la “grande narrativa” dell’industria occidentale edi un atteggiamento di generica e non circostanziata mancanza di fiducia nel progresso. Da qui la nascita di un’altra narrativa, quella tipica della fotografia sociale e del fotografo impegnato a denunciare i mali della contemporaneità. Non più le colossali imprese industriali, ma l’immane scempio degli scarti delle stesse. Non più le esplorazioni di paesi esotici e lontani, ma la denuncia dei sistemi coloniali. Non più la meraviglia delle città, ma il degrado ai margini dell’impero.
Nel 1967 Roberth Smithson compie un attraversamento, attrezzato di macchina fotografica, fra New York e il paese di Passaic nel New Jersey, dove era cresciuto, e produce un breve saggio testuale e visivo in cui descrive le varie reliquie industriali e suburbane che incontra lungo il corso del fiume Passaic, riconfigurandole in ipotetici monumenti di una civiltà a venire. Pur non essendo fra le sue opere più conosciute, “A tour of the monuments of Passaic, New Jersey” ci da un esempio chiarissimo della funzione di riconfigurazione di un immaginario (risemantizzazione) di un dato paesaggio che può avere la pratica artistica.
https://www.kabulmagazine.com/robert-smithson-monument-passaic-new-jersey/
https://holtsmithsonfoundation.org/tour-monuments-passaic-new-jersey
L’effetto di monumentalizzazione che il mezzo fotografico ha sul suo soggetto è anche chiara nell’imponente lavoro di Berndt e Hilla Becher “Anonyme Skulpture: Eine Typologie technischer Bauten” edita nel 1970.
Pur essendo un lavoro eminentemente fotografico il termine Skulpture è significativo e in effetti nel 1990 i Becher vinsero il Leone D’Oro alla Biennale di Venezia proprio nella categoria Scultura. La catalogazione rende visibilissimo lo spostamento di senso che il mezzo fotografico opera su queste emergenze industriali trasformandole appunto in sculture con un meccanismo simile a quello del primo ready-made di Duchamp. Solo che qui lo spostamento semantico non è operato fisicamente (ad esempio spostando uno di questi silos in un museo) ma a livello di immaginario attraverso l’inquadratura (che in effetti rende “portatili” questi soggetti).
Inoltre l’atteggiamento degli autori di fronte a questi “monumenti” È cambiato in senso post-modernista. Non sono più simboli della grande narrativa del progresso umano davanti a cui inchinarsi, ma reperti – come in un teca di un museo – di un passato glorioso e fallito. Mettendole nella teca fotografica le musealizzano, come è successo alle vestigia di altri imperi.
Nello stesso periodo Alain Touraine (La societé post-industrielle, 1969) e Daniel Bell (The Coming of Post-Industrial Society, 1973) utilizzano per la prima volta il termine “post-industriale” che in economia è utilizzato per indicare una società in cui la il lavoro per la produzione di servizi ha superato come quantità di lavoratori e di indotto economico quello della manifattura di beni; ma a livello sociale, urbanistico e culturale significa che gli stessi edifici industriali cominciano a perdere la loro funzione e diventano archeologia (industriale) o sono convertiti in istituzioni culturali in corrispondenza con la nascita dell’ “industria culturale”.
E nello stesso tempo una generazione di fotografi americani lavorano sul paesaggio dei loro predecessori con uno sguardo completamente diverso che non rappresenta più la maestosità della wilderness americana ma un nuovo paesaggio urbano e naturale insieme, disilluso, in cui la natura ha perso e si è compromessa con le alterazioni provocate dall’uomo. Il culmine di questa ondata di paesaggisti è la mostra “New Topographics: Photographs of a Man-Altered Landscape” presso la la George Eastman House di Rochester, New York, nel gennaio del 1975.
New Topographics: Photographs of a Man-Altered Landscape
George Eastman House, Rochester, New York, 1975.
Progetti contemporanei
OltreTevere (2020)
https://www.oltretevere.it
Sleeping by the Mississippi (2004)
Alec Soth
Yangtze: The Long River (2005-2007)
Nadav Kander
Ganga Ma (2005 – 2015)
Giulio Di Sturco
The Yellow River (2019)
Zhang Kechun
Cronache d’acqua (2023 – ongoing)
Po The River (2010)
Arianna Arcara
Tanaro a Masio (2012)
Vittore Fossati